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Eravamo solo bambini - Registrazione audio e video dell'incontro con Tatiana Bucci

L'incredibile storia di due bambine sopravvissute ad Auschwitz; incontro tenutosi al castello di Cisterna d'Asti il 15 novembre 2017.

Registrazione video e montaggio a cura di Sandro Cerrato.

 

 

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Registrazione audio dell'incontro di Tatiana Bucci a Cisterna d'Asti
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L'incredibile storia di due bambine sopravvissute ad Auschwitz; incontro tenutosi al cinema teatro Cristallo di San Damiano d'Asti il 15 novembre 2017.

Registrazione video e montaggio a cura di Sandro Cerrato.

 

 

Tatiana e la sorella Alessandra (Andra) sono le più giovani italiane sopravvissute ad Auschwitz. Nascono a Fiume rispettivamente nel 1937 e 1939 in una famiglia “mista”: padre cattolico e madre ebrea. La famiglia materna proviene da Vydrinka in Bielorussia da dove fugge all’inizio del secolo scorso a causa dei pogrom cioè della devastazione dei villaggi ebraici ma è solo uno dei tanti spostamenti a cui sono stati costretti nel corso dei secoli. È un viaggio lungo e doloroso durante il quale la famiglia si divide: una parte emigrerà in America mentre i nonni di Tatiana decidono di fermarsi a Fiume: è una città sul mare e, in caso di pericolo, sarà più semplice prendere il largo e fuggire. Una volta ambientati, la vita scorre tranquilla anche se il nonno muore durante la prima guerra mondiale e la nonna, da sola, deve provvedere a sei bambini. Mira e Gisella Perlov – rispettivamente madre e zia di Tatiana ed Andra – sposano due cattolici: Giovanni Bucci (in origine Bucic) ed Eduardo De Simone. Dopo qualche anno, nascono Tatiana (che deve essere registrata come Liliana per l’italianizzazione dei nomi) ed Andra mentre gli zii si trasferiscono a Napoli (città natale di Eduardo), dove nasce il piccolo Sergio. Intanto, vengono emanate le Leggi Razziali. Le due bimbe non se ne rendono conto anche se la prima a conoscerne gli effetti è la piccola Tatiana che non potrà iniziare la prima elementare. A Napoli, per zia Gisella e Sergio, le cose vanno peggio. Zio Edoardo viene richiamato in guerra e, non appena si viene a sapere che Gisella è ebrea, nessuno dei vicini rivolge più il saluto né a lei né al suo bimbo. Però, l’esclusione più dolorosa è quella subita a causa dei parenti di Eduardo. Gisella e Sergio si sentono soli, emarginati ed è per questo che la donna decide di tornare a Fiume nel luglio del 1943 segnando crudelmente il destino della sua famiglia. Infatti, pochi mesi dopo, Napoli verrà liberata dagli alleati invece a Fiume i Perlow cadranno nella trappola dei nazifascisti.

Oggi Tatiana Bucci è una bella signora che risiede a Bruxelles dal 1964, il suo sorriso sa illuminare le stanze più buie. È una donna arguta, colta, simpatica, divertente. Eppure, quando il suo racconto arriva a questo punto, le parole escono con fatica ed ognuna di esse è dolore vivo e devastante. Dopo qualche mese trascorso abbastanza tranquillamente tutti insieme, arriva la terribile notte del marzo 1944. Il ricordo di Tatiana va a una donna anziana che piange inginocchiata. È sua nonna che prega un ufficiale dal lungo soprabito di pelle nera affinchè non portino via i bambini ma si accontentino di arrestare lei. È tutto inutile. Nel buio della notte, la memoria restituisce l’immagine di due bambine, accudite da una mamma premurosa che le veste con amore scegliendo gli abiti più belli e caldi: sono identitici, come sempre. Andra ha la febbre ma questo non frena i soldati. Li ha denunciati per soldi un certo Plech, un cattolico che si occupa della pulizia della Sinagoga. Vengono arrestati in otto: torneranno miracolosamente in quattro ma altri parenti periranno in altri luoghi a conflitto praticamente concluso. Tatiana e Sergio hanno sei anni, Andra quattro. Il viaggio che segue è come una interminabile caduta in un imbuto nero: l’unica cosa che consola è la mano della mamma che stringe quella delle sue piccole. Dopo una breve sosta in un magazzino, la famiglia viene portata alla Risiera di S. Sabba e, poi, ad Auschwitz. Qui, i destini si dividono: alcuni a sinistra e altri a destra. È il ricordo dell’ultimo sguardo alla nonna e ad una zia. Per Mira, Gisella, Tatiana, Andra e Sergio, la sorte ha scelto diversamente. Le due donne verranno destinate al lavoro al “Canada” dove vengono controllati i bagagli dei deportati mentre i tre bambini vengono assegnati alla “Baracca dei gemelli” destinata ai bambini al di sotto dei 10 anni. Infatti, le due sorelline vengono probabilmente scambiate per gemelle grazie alla somiglianza resa ancora più efficace dai vestitini identici che indossano. Per Sergio, invece, l’unica spiegazione possibile è la sua avvenenza perché a decidere della vita e della morte è il dottor Mengele che non è indifferente alla bellezza. Seguono i terribili passaggi a cui devono sottoporsi i deportati. C’è il tatuaggio che viene tracciato anche sulle teneri carni dei bambini. Mira riesce a farselo fare per prima: è il 76482, Andra diventa il 76483 mentre Tatiana il 76484. È l’atto d’amore di una madre che, al termine della guerra, diventerà un elemento fondamentale per il riconoscimento delle piccole. Ancora oggi, pur se sbiadito, fa parte della pelle di Tatiana e di Andra. Comincia una nuova vita.

“Ho capito solo allora di essere ebrea perché lo sentivo ripetere ai grandi. Prima di allora, io non mi ero mai sentita diversa” dice Tatiana “Nel campo, la vita era la morte: i morti ci circondavano”. Ci si abitua anche a questo. All’inizio la madre e la zia riescono, con grossi rischi, ad andare a trovare i propri bambini. Mira rammenta sempre alle piccole di ricordarsi il proprio nome perché è facile dimenticarlo in un luogo dove nessuno ti cerca o ti chiama. Anche questo dettaglio servirà per il ricongiungimento con la famiglia. Poi, la mamma e la zia non tornano più. “La mamma è morta, abbiamo pensato. Non abbiamo pianto”. In tutta quella miseria, il ricordo va a giochi quasi impossibili da immaginare: in mezzo al fango, si gioca alla guerra. Ma c’è anche qualcuno che ha dei gesti gentili: un soldato regala loro dei biscotti e, forse, una custode della baracca si affezione. Infatti, un giorno, si diffonde la voce che verranno a chiedere ai bambini se qualcuno di loro vuole incontrare la mamma. La blockova raccomanda alle piccole di non accettare perché è un trucco. Le bimbe avvertono il cugino ma il desiderio di ritrovare la tenerezza perduta è troppo forte per lui: fa un passo avanti. In tutto dieci bimbi e dieci bimbe se ne vanno: è l’unico trasporto che esce dal campo pieno di vivi. Purtroppo, finiscono tutti in un altro campo dove subiscono terribili esperimenti e, poi, stremati, vengono crudelmente uccisi all’interno di una scuola. La loro storia viene alla luce grazie ad un giornalista tedesco Günther Schwarberg. Suo fratello maggiore e suo cognato sono stati nazisti ma tutto ciò non gli impedisce di cercare la verità. “Averlo incontrato, mi ha conciliato con i tedeschi”. Così viene alla luce la triste fine di Sergio e dei suoi compagni.

Intanto, il 27 gennaio 1945, i cancelli di Auschwitz vengono aperti. Dei 250 000 bambini passati nella “Baracca dei gemelli” ne sopravvivono 50 tra cui Tatiana ed Andra: le uniche italiane. Vengono trasferite in un orfanotrofio in Cecoslovacchia, conoscono il tedesco e imparano il ceco ma hanno dimenticato completamente l’italiano. Grazie ad un’organizzazione che cerca di aiutare i bambini ebrei sopravvissuti ai campi, vengono trasferite in un cottage a Lingfield, nel Surrey. Qui possono riprendersi la loro infanzia. Imparano l’inglese. Intanto passano i mesi, Mira e Gisella sono ritornate alle loro case dove hanno ritrovato i loro mariti. Ma che fine hanno fatto i bambini? Tramite mille ricerche – e grazie al fatto che si ricordano ancora il loro nome – Tatiana e Andra ritrovano i loro genitori. Per Sergio, invece, non sarà così. Gisella lo cercherà per tutta la vita, negando con ogni forza l’evidenza della sua morte e aspettando il suo ritorno fino all’ultimo dei suoi giorni.

“Non ho perdonato perché nessuno si è scusato con noi. Spero, prima di morire, che lo Stato provveda ad ammettere le colpe dell’Italia in quanto è accaduto. Ancora oggi c’è qualcuno che non è capace di accettare il diverso. Il modo migliore per ricordare, è riuscire a capire dove sono il male e il bene e scegliere la parte giusta. Oggi sono una donna felice che crede nella vita e nel destino. I miei tre nipoti sono la cosa più bella che mi è stata regalata e dimostrano che la vita continua e che noi abbiamo vinto”.